Introduzione 

In una società moderna o post-moderna, complessa e disgregata, dove, secondo i dati ISTAT, le separazioni ed i divorzi sono ogni anno sempre più numerosi, diventa lecito ed opportuno chiedersi quale funzione abbia, oggi, la figura paterna nello sviluppo psicologico dei figli.

Le risposte di molti, probabilmente, sarebbero vincolate ad un’immagine di società tradizionale che identifica un padre “ provider- protector ”, e che affonda le sue radici  in un pensiero cristiano che, a suo modo, ha contribuito a diffondere un modello familiare basato su ruoli genitoriali distinti e complementari: la madre, simbolo dell’amore e della tenerezza e il padre, simbolo della legge e dell’autorità (Baldassarre, 2006).

A questa condizione, che oggi si rivela estremamente confusiva e non veritiera, (Baldassarre, 2006; Ammaniti Gallese, 2014), spesso si collega l’immagine, reiterata dai più,  che i maschi debbano respingere i propri sentimenti o comportamenti affettuosi a favore di atteggiamenti basati sulla freddezza e l’indipendenza; quella stessa indipendenza che, come si evince dalla psicologia clinica perinatale (Imbasciati,2015; Cena Imbasciati, 2014) viene messa in discussione alla nascita del figlio, provocando un forte senso di minaccia alla propria identità maschile (Di Sauro, Bertiè,  Marchegiani, 2014).

In realtà, e qui si ripropone l’interrogativo,  in una società che influenza costantemente la figura dell’essere maschio e dell’ essere padre, che ha accettato la differenziazione dei ruoli come un dato quasi sacro, che ha fortemente concentrato l’attenzione sulla donna/ madre come figura di attaccamento per eccellenza – dovuto ad una questio definito “naturale” o “biologico” – abbiamo ancora l’opportunità di ragionare sull’importanza della figura paterna, emotivamente partecipante allo sviluppo psico-fisico del figlio?

Tale assunto potrebbe essere considerato una vera e propria sfida culturale, nel momento in cui si rischia di andare contro un prototipo maschile costruito su mere convinzioni sociali, di fatto solo etichette indelebili, che metterebbe in discussione l’intero universo paterno, nonostante la copiosa letteratura che smentisce tale prospettiva.

La sfida più ardua sarebbe – come del resto confermata appunto dalle ricerche più recenti in tema di attaccamento e ciclo di vita della famiglia (Baldoni, 2006) – quella di   considerare il padre come figura di attaccamento non secondaria o marginale, ma equivalente a quella materna, con funzioni e coinvolgimenti specifici (Ammaniti Gallese, 2014).

Paternità e sviluppo affettivo nel bambino: una visione psicodinamica

Come sopra esposto, non è solo la figura materna (quando idonea) ad essere importante per il sano sviluppo di uno stile di attaccamento adeguato, ma altrettanto centrale è la figura paterna: essa promuove nel bambino (e secondariamente aiuta a superare) una fase di sviluppo importantissima, detta “fase di individuazione e separazione”.

Questa fase permette al bambino di riconoscersi come individuo altro, separato dalla figura materna; spiegato in altri termini, tale fase dovrebbe favorire la regressione materna incoraggiando la separazione, condizione essenziale e necessaria per evitare e impedire la fusionalità con la madre. Tale fusionalità non permetterebbe al bambino di essere psichicamente autonomo da quella figura e favorirebbe, in seguito, lo sviluppo di una dipendenza emotiva nei confronti delle future figure significative (amici/che, compagni/e ecc…); pertanto, questa tappa di sviluppo, unicamente promossa dalla figura paterna, risulta fondamentale affinché l’affettività del figlio possa essere guidata verso nuove mete, in modo da non diventarne dipendente emotivamente.

Il modello teorico al quale si sta facendo riferimento è di matrice relazionale, derivato dalle osservazioni di Winnicott (1960) secondo cui i genitori ed i figli esistono solo in relazione reciproca.

Le tappe di separazione durante la prima infanzia

Il processo di separazione-individuazione è un vero e proprio percorso che il bambino affronta per differenziarsi dalla madre e trovare il proprio posto nel mondo esterno. Col termine “separazione” si fa riferimento al distacco dal rapporto “simbiotico” con la madre, mentre l’individuazione è il riconoscimento di sé e delle proprie caratteristiche.

Il padre si interpone tra madre e figlio/a: la Legge del Padre, teorizzata da Freud ad es., rappresenta quel necessario e impossibile svezzamento dell’infante dal seno, e viceversa della madre, dalla bocca del lattante, perché comporta la rimozione del desiderio materno e l’accesso al simbolo, il mondo, gli altri.

Il padre è il garante dell’esistenza di un ordine culturale costitutivo del discorso, di cui non è il legislatore onnipotente, perché anch’egli vi si sottomette per diventare un soggetto. Escluso dal registro della sensorialità, il padre ha un ruolo metaforico e rappresenta la legge del linguaggio che permette al bambino di acquisire la sua identità. Egli apre la crescita psicologica infantile alla cultura, alla socialità, all’ordine delle generazioni e alla differenza dei sessi.

Nella trasmissione del nome, infine, gli permette di divenire genitore a sua volta, perché lo separa dal rapporto “incestuoso” con la madre, lo avvicina alla dimensione simbolica, ne sostiene lo sviluppo psichico, si offre come modello di identificazione.

Dal processo di simbiosi madre-bambino, all’interno del quale viene stabilito un saldo fondamento di esperienza buona e di fiducia di base, si passa gradualmente a un progressivo processo di separazione e differenziazione, ed è la stessa madre ad avere un ruolo basilare nel permettere e facilitare tale separazione (Winnicott, 1960). Mahler e colleghi (1975), nel loro lavoro sulla separazione/individuazione, hanno ben messo in rilievo come, quando la separazione è in corso e il bambino diviene mobile, i padri comincino a diventare più importanti. Indipendentemente dalla declinazione che il concetto di cura ha per la psicoanalisi, il ruolo del padre è centrale, inizialmente per il sostegno dato alla madre, successivamente per la sua funzione di modulatore della separazione all’interno della coppia madre-bambino e per consentire passaggio da legami di tipo diadico a legami di tipo triadico.

Come osservato in precedenza, per le neuroscienze e la psicologia clinica perinatale (Cena, Imbasciati, 2014; Imbasciati, 2015) è imprescindibile sottolineare come la figura paterna svolga funzioni fondamentali a partire dal primo periodo post natale ed il suo ruolo si rivela essenziale nella triangolazione edipica della scelta d’oggetto. È anche grazie allo svolgimento della funzione paterna che la diade madre-bambino può adempiere in maniera funzionale al proprio compito evolutivo. E’ essenzialmente attraverso la figura paterna che il bambino può evolvere nel suo adattamento al mondo e lo stabilirsi di una relazione significativa, stabile e sicura consente al figlio di accedere ad un adeguato sviluppo sociale ed emotivo.

Inoltre, la peculiarità di base della funzione paterna è proprio quella di favorire e promuovere il processo di separazione dalla madre: sia per il maschio, che per la femmina, è necessario un continuo spostamento del legame identificatorio, sia con la madre che con il padre, ma ciò è possibile nel caso in cui l’oggetto genitoriale è strutturato in forma equilibrata, ovvero entrambe le figure possono ricoprire il proprio ruolo forte, libero, ma anche integrato. Lo ribadiamo: al padre è simbolicamente affidato il compito di traghettare gradualmente il figlio dal territorio materno a quello della società, favorendo l’emancipazione dall’infanzia e il suo ingresso nel mondo adulto. In altre parole, è il padre che contiene e progressivamente delimita quel rapporto stretto e totalizzante esistente tra madre e figlio.

Viceversa, nei casi in cui la figura paterna non possa svolgere il proprio ruolo, l’ esclusione del padre conduce all’organizzazione di un oggetto-madre eccessivamente potente, che produce sentimenti di incapacità, di paura, di frustrazione e soprattutto abbandonici; il figlio si riempie di sentimenti di Falso Sé, ossia di un’onnipotenza fantasticata, proprio in quanto il padre viene svalorizzato e “sostituito” e all’infante non resterà che cercare un rapporto con la madre che lo liberi dal timore di essere abbandonato.

Alcuni Autori hanno studiato gli effetti della deprivazione paterna sui minori (Baldoni,2005) e le loro ricerche evidenziano che non solo la deprivazione paterna provoca un grave danno al figlio, ma, soprattutto, che dal livello di accudimento con cui un genitore si occupa del figlio dipende in modo diretto il grado di realizzazione esistenziale del figlio stesso. Tale concetto è ben espresso dalle parole della famosa psicologa Dionna Thompson: “la guerra contro il padre è in realtà una guerra contro i figli; il punto non è semplicemente il diritto dei padri o il diritto delle madri, ma il diritto dei figli di avere due genitori che si occupino attivamente della loro vita”.

La figura paterna oggi

La letteratura scientifica, dunque, ha dimostrato in modo incontrovertibile che il padre rappresenta un elemento di trasformazione positiva nell’attaccamento infantile.

Si assiste sempre più, per fortuna, all’interesse nel considerare il ruolo paterno in grado di travolgere positivamente lo sviluppo del figlio e di fungere da elemento peculiare nella formazione dei legami di attaccamento infantile. La funzione del padre è da ricercarsi nella capacità di modificare i modelli operativi interni del bambino, ma anche della moglie, influenzando i legami di coppia e la relazione madre – bambino.

Se questo è vero per la prima infanzia, ci si può rendere conto di come sia altamente significativo nella seconda e nell’ adolescenza (Recalcati, 2013; Pellai, 2019).

A questo punto, non resta altro che concordare sulla fondamentale presenza di un padre all’interno della famiglia, essenziale non solo in tutte le fasi della crescita del figlio, ma anche nella costruzione della sua identità.

Nello specifico, infatti, si ritiene che la sua funzione paterna sia “diversa” nel rapporto con la femmina e con il maschio: l’assenza della figura paterna produce una ferita relazionale in una figlia, ed una ferita d’identità in un figlio (Risè,2003). Questo perché, come dimostrato dalle ricerche, il padre, in entrambi i casi, contribuisce a creare stabilità, affettività e sicurezza. Si è anche dimostrato come tale assenza, a livello psicologico, produca nella personalità del figlio una lacerazione del proprio sentimento di appartenenza e un vuoto nei processi di identificazione, così necessari per maturare (Ammaniti, Gallese, 2014; Di Sauro, Bertiè, Marchegiani, 2016).

Tuttavia, questa trasformazione dei padri, sostengono alcuni sociologi, è puramente virtuale, teorica, non confermata, nonostante le ricerche ultime mostrino come vi sia nei padri un’elevata percentuale di coloro che partecipano con la propria compagna ai corsi di preparazione al parto, così come non mostrano alcun disagio nell’accudimento dei figli (Baldassarre, 2006; Baldoni, 2013).

La letteratura psicologica del secolo scorso si è quasi sempre soffermata molto più sulla relazione madre- bambino piuttosto che sul sistema triadico madre-padre–bambino o sulla relazione padre-figlio (Ammaniti Gallese, 2014). Si ritiene, invece, che la figura paterna abbia un’importanza fondamentale per lo sviluppo psicologico del bambino, così come dimostrato dagli studi moderni che rivalutano il ruolo del padre sin dalla nascita, giacché il padre influenza il clima familiare e incide sul benessere psicologico della madre.

Il padre non è semplicemente la luce che illumina la diade madre-bambino, ma è, insieme a loro, l’essenza di un quadro in cui ogni singola parte ha senso solo in relazione alle altre.

Ed infatti il ruolo paterno, così importante in adolescenza e nella seconda infanzia, risulta imprescindibile già in gravidanza (Ammaniti Gallese, 2014), poiché grazie alla sua capacità di accogliere le ansie materne, induce, di riflesso, un enorme benessere sul buon proseguimento della gravidanza stessa e sulla crescita intrauterina del piccolo. Il papà, infatti, spesso rappresenta la parte lucida e razionale che va a compensare la parte emotiva materna, dovuta in particolar modo agli sbalzi ormonali. Il padre rappresenta la fonte di sicurezza e protezione, il punto di riferimento e il sostegno per la donna e di conseguenza per il bambino stesso. Attraverso la voce e le carezze sulla pancia   della mamma, ad es., egli inizia a costruire quello che sarà il futuro legame con il nascituro. Come, infatti, il piccolo riconosce la voce della mamma al momento della nascita, allo stesso modo è in grado di distinguere la voce del suo papà, come la letteratura perinatale ha dimostrato. Per il padre, guardare il proprio bambino appena nato vuol dire averlo “partorito” e fatto nascere a modo suo, utilizzando la sua mente e la sua anima, invece del corpo. Gli studiosi hanno scoperto che anche per il padre esiste un momento in cui si realizza l’attaccamento al proprio bambino e, quindi, il desiderio di stare in sala parto non è solo per sostenere la propria compagna, ma anche per sostenere il proprio figlio fin dall’inizio, proteggendolo e incoraggiandolo in un momento così difficile (Baldoni, 2013).

Alla nascita, sovente, c’è l’erronea convinzione che il piccolo dipenda totalmente dalla mamma, ma ciò non corrisponde al vero: il papà ha contribuito alla sua nascita- e già questo gli conferisce importanza- e accudendolo nell’igiene, nell’allattamento misto o nel gioco, sarà decisivo per il suo sviluppo emotivo e psicologico e per il benessere della mamma. La mamma, spesso stremata dal parto, ha bisogno del sostegno e dell’aiuto del compagno fin da subito: essere genitori significa essere squadra e insieme affrontare le sfide di tutti i giorni. Bisogna riconoscere, tuttavia, che in passato i padri si preoccupavano poco di accudire il loro bambino, a causa di stereotipi culturali e sociali, che oggi però sono cambiati. I padri vogliono essere più presenti, vogliono essere partecipi di ogni tappa dello sviluppo e vogliono esserci con il cuore. Il loro compito è inserirsi nella diade madre-bambino e farsi spazio. Soprattutto nei primi mesi dopo il parto, il padre rappresenta la risorsa, quello che si deve accorgere se c’è qualcosa che non va, se la mamma è stanca, stressata e sta mostrando i primi segnali di malessere (Baldoni, 2013).

I bambini amati e accuditi diventano adulti sereni e sicuri di sé, con un elevato tasso di stima in se stessi, ma affinché ciò sia possibile è necessario che il padre, al pari della madre, svolga un ruolo fondamentale e complementare nella crescita e nell’accudimento dell’infante.

Nell’infanzia i bambini imparano a osservare il mondo con i propri occhi, avendo sempre i genitori come punto di riferimento. Le sensibilità differenti fra uomo e donna insegnano al bambino a osservare il mondo da più punti di vista. Gli uomini, in genere più pragmatici, aiutano i bambini nella scoperta del mondo attraverso qualche espressione più psicomotoria. Le mamme, al contrario, tendono ad essere più  iper protettive: tuttavia, evitando generalizzazioni banali, si potrebbe dire che in questa fase di seconda infanzia i papà, avendo maggiore audacia, permettono al piccolo sempre nuovi traguardi, aumentando la fiducia in se stessi.

La figura paterna svolge, nella seconda infanzia e poi nella adolescenza, funzioni fondamentali. Il suo ruolo si rivela essenziale per il miglior sviluppo del figlio, determinante alla sua fase di individuazione di sé come individuo “altro”, psichicamente autonomo, in grado di rivolgere l’affettività anche al di fuori della coppia madre-figlio e maturare una capacità verso tutte le altre figure significative per il resto della vita.

La funzione paterna, in sostanza, potrebbe essere equiparata a quella di un semaforo: ordina, divide, stabilisce delle regole. Ecco l’importanza dell’esempio del padre e della sua etica nel graduale percorso di crescita del figlio come soggetto sociale. La funzione paterna è però sia normativa che affettiva, quindi autorevole, laddove unisce la legge- e dunque la capacità e l’importanza di porre norme e confini al desiderio- alla premura e alla cura.

Il compito del padre

Il compito difficile e delicato dei padri di oggi, pertanto, consiste nel riuscire a tradurre al figlio ciò che accade all’esterno del nucleo familiare e ad introdurre limiti, regole e rinunce, strumenti ed esperienze indispensabili per consentire al bambino di aprirsi al mondo e affrontare le difficoltà che incontra. Il discorso sociale contemporaneo si posiziona in una direzione opposta all’etica della rinuncia e della frustrazione, per questo motivo può essere difficile oggi per un padre porre dei limiti ed educare i figli ad accettare l’attesa, la mancanza, i “no”.

Al contrario, proprio a partire dalla relazione con il padre che il figlio fa esperienza di una dipendenza rassicurante, che lo aiuta e lo sprona a sentirsi autonomo, a sperimentarsi e a conoscere il mondo.

“Non saprei indicare un bisogno infantile di intensità pari al bisogno che i bambini hanno di essere protetti dal padre”: così Freud parla del padre, intendendo la protezione anche come la capacità di funzionare da regolatore delle pulsioni, da limite e traduttore rispetto quindi alla spinta alla soddisfazione immediata di bisogni ed esigenze. Allo stesso tempo la protezione riguarda la possibilità che un padre possa aiutare e guidare il figlio nella propria apertura verso le scoperte e l’ignoto, affinché faccia, esperienza del mondo accompagnato e riparato però dalla mano ferma e gentile del proprio papà (Recalcati, 2013).

La funzione paterna è, quindi, sia di separare il bambino dall’iniziale relazione duale con la mamma, sia di promuovere un’identificazione sociale e sostenere nel figlio l’affermazione della propria diversità e unicità come cittadino del mondo. Ecco allora la sua importanza come conferma e, allo stesso tempo, restituzione al figlio della fiducia negli altri e nel suo avvenire (Di Sauro, Bertiè, 2007).

I padri di oggi sono preziosi, perché si fermano ad ascoltare. Per usare una similitudine, il luogo paterno si propone ai figli come un laboratorio in cui fare esercizio di una serie di operazioni utili all’incontro con il sociale e con le prove della vita. Ecco il valore del padre come esempio, come modello di riferimento simbolico, cioè equilibrato, poco incline alla prevaricazione e/o al vittimismo: è da lui che il figlio impara a regolare l’espressione delle sue emozioni, delle pulsioni, nel rispetto degli altri. La presenza rassicurante di un padre insegna a potersi fidare del mondo e apre il figlio alla scoperta delle sue passioni e dei suoi desideri (Pellai, 2019).

Il papà, ad es. nella seconda infanzia, insegna ad andare in bicicletta: con la sua mano ferma spinge il bambino in avanti, per fargli prendere velocità, poi lo segue, standogli accanto, per raddrizzare il manubrio se si storce, o dare un’altra spinta se la velocità cala. Metaforicamente, è quello che un padre fa nella vita di tutti i giorni: apre al mondo e alla scoperta di sé il proprio figlio e, con la sua presenza, lo guida nella crescita e lo accompagna ad ogni sua pedalata di vita (Baldassarre, 2006). La figura paterna è punto di riferimento etico e morale per ogni bambino. Se viene meno tale riferimento, se la figura paterna si offusca o se il suo ruolo diventa fragile o manca del tutto, il cammino dei figli si fa incerto, provocando in loro inquietudine e smarrimento. Questa sembra essere una condizione di questo periodo storico che ci deve rendere attenti osservatori della figura paterna, indebolita, a volte, da una legge obsoleta e poco attenta o che sta perdendo quella forza virile indispensabile per la costruzione dell’identità, della stima e della fiducia verso se stessi e verso la Vita.

Il bambino, in modo particolare nella seconda infanzia, sente la necessità di affidarsi al padre, di poter conversare e di guardarlo in volto senza timore e senza riserve, per trovare sempre nuove rassicuranti conferme. Si tratta di un compito spesso arduo che spetta in prima persona al padre. La sua è una figura che rappresenta agli occhi del figlio l’universo maschile in cui dovrebbe predominare la norma, la legge e, soprattutto, l’indipendenza dai vincoli ricattatori e incestuosi che stanno alla base della disarmonia nello sviluppo. Il padre è equiparabile a un rifugio sicuro, anche se purtroppo, molto spesso tale figura è messa in sottotono dalle ex coniugi che paventano  addirittura una sindrome di alienazione parentale, creando non poche difficoltà ai figli.

Conclusioni

La sicurezza che deriva da una figura paterna stabile e affidabile è assai importante per lo sviluppo relazionale del ragazzo: è la figura più adatta a fare da guida e da spalla per affrontare la realtà e confrontarsi con il mondo esterno, contribuendo così a formare nella sua mente un modello di riferimento diverso da quello materno primigenio.

La figura paterna rappresenta simbolicamente la legge e l’autorità, parola latina “auctoritas” che deriva dalla radice del verbo augeo, che significa “far crescere”. Egli è la norma, la mano forte che protegge, la roccia che non crolla, il braccio forte che stringe e che ognuno di noi, sin dall’infanzia, ha portato dentro di sé e interiorizzandolo come modello. E’ una sorta di tavola delle leggi scolpita dentro il figlio (Risè, op. cit.).

In sintesi, e per concludere, possiamo dire con Baldassarre ( 2006) che  il ruolo e la funzione paterna, tra l’altro, servono per :

  • creare una realtà psicologica nuova e creare limiti alla stessa.
  • Stabilire l’importanza delle regole e delle norme sociali e civili.
  • Aumentare l’esplorazione del mondo attraverso attività ludiche e psicomotorie.
  • Sublimare il senso della rabbia e dell’aggressività attraverso elementi simbolici.
  • Permettere il superamento del complesso edipico e l’allontanamento dalla madre.
  • Stabilire nuovi valori etici e morali.
  • Permettere una buona identificazione sessuale

In definitiva e, senza possibilità di smentita, possiamo dire che non si può crescere senza “un pensiero ed un’esperienza diretta” sul e con il proprio  padre.

 

Bibliografia essenziale:

Ammaniti M. Gallese V. (2014) La nascita della intersoggettività, Cortina, Milano.

Andolfi M. (2001) Il padre ritrovato, Franco Angeli, Milano.

Baldassarre I. (2006), C’è anche il papà, Erikson, Trento.

Baldoni F.(2005)  (a cura di): Padri e paternità, Edizioni Junior, Bergamo.

Bollea G. (2003) Le madri non sbagliano mai, Franco Angeli, Milano.

Cena L. Imbasciati A., (2014), Neuroscienze e teoria psicoanalitica, Springer, Milano.

Di Sauro R., Bertiè S. (2007), La genitorialità: percorsi di crescita e ftori di rischi psicopatologici, Aracne, Roma.

Di Sauro R. Bertiè S. Marchegiani F., (2015), Presupposti psicodinamici per la presa in carico dei bambini e dei loro cargivers, Aracne, Roma.

Di Sauro R. Falcone S., (2016), Una finestra sulla mente percorsi formativi fra  mentalizzazione e patologie borderline , Aracne, Roma.

Gardner R.  (2002 b) L’acquisizione di potere dei bambini nello sviluppo della sindrome di alienazione genitoriale, Nuove tendenze della psicologia, vol. 3, n.1

Imbasciati A., (2015), Nuove teorie sul funzionamento della mente, Franco Angeli, Milano.

Pellai A. (2019), Da uomo a padre, Mondadori, Milano.

Recalcati M. (2013), Il complesso di Telemaco, Feltrinelli, Milano.

Risè C. (2007), Il Padre l’assente inaccettabile, San Paolo, Roma.

Salluzzo M.A. (2004 a) Psicopatologia nella separazione, divorzio e affidamento, Attualità in Psicologia, Volume 19, n. ¾

Winnicott D.,(1960) trad. It. Sviluppo affettivo e ambiente, Armando, Roma.

 

Prof. Rosario Di Sauro
Università Tor Vergata Roma e Università Cattolica Nostra Signora del Buon Consiglio, Tirana
Direttore SSPP (Scuola di specializzazione in Psicoterapia Psicodinamica), Latina